Indagine Legambiente: spiagge italiane sommerse dai rifiuti

Spagge italiane inquinate

L’estate è alle porte ma le spiagge italiane mostrano il consueto lato oscuro. Dall’ indagine “Beach Litter” realizzata e curata per il terzo anno da Legambiente è emerso un dato allarmante: ogni 100 metri di spiaggia si trovano in media 714 rifiuti. Il monitoraggio è stato svolto nel mese di Maggio su 47 spiagge italiane, un’area di 106.245 mq, dove sono stati trovati 33.540 rifiuti spiaggiati. Anche quest’anno regina indiscussa rimane la plastica: il 76,3% degli oggetti trovati è infatti di plastica, seguita da mozziconi di sigarette (7,9%), rifiuti di carta (5,5%), metallo (3,6%), vetro/ceramica (3,4%), legno (1,3%), rifiuti tessili (1,2%) e gomma (0,8%).

Pezzi di plastica, cotton-fioc e cicche di sigarette

A guidare, invece, la top ten dei rifiuti spiaggiati più trovati sono tre piccoli ma pericolosi oggetti: al primo posto ci sono i pezzi di plastica e polistirolo (22,3%), di dimensioni inferiori ai 50 cm, che costituiscono quasi un quarto dei rifiuti trovati. Secondo posto per i cotton fioc (13,2%) per un totale di 4412 pezzi, diretta conseguenza della scorretta abitudine di ‘smaltire’ questi rifiuti gettandoli nel wc e dell’inefficacia degli impianti di depurazione.
Terzo posto in classifica per i mozziconi di sigaretta (7,9%): in particolare l’indagine di Legambiente ne ha contati 2642, una quantità pari al contenuto di 132 di pacchetti, il 3% in più rispetto all’indagine del 2015. Seguono nella top ten: tappi e coperchi (plastica e metallo) 7,8%, bottiglie di plastica per bevande (7,5%), reti da pesca e acquacoltura (3,7%), stoviglie usa e getta di plastica (3,5%), materiale da costruzione (2,3%), bottiglie di vetro e pezzi (1,9%) e bottiglie e contenitori di detergenti (1,8%). Rifiuti che fanno male all’ambiente, alla fauna, all’economia e al turismo.

Maglia nera alla  spiaggia di Coccia di Morto a Fiumicino

L’indagine “Beach litter”, che rientra nell’ambito della campagna “Spiagge e Fondali puliti – Clean-up the Med 2016” realizzata anche grazie al contributo di Cial, Novamont e Virosac, è stata eseguita dai volontari di Legambiente nel mese di maggio 2016. Le situazioni più critiche sono state rilevate sulla spiaggia di Coccia di Morto a Fiumicino, in prossimità della foce del Tevere, dove si accumulano i rifiuti provenienti dal fiume. Qui Legambiente ha trovato il più alto numero di rifiuti: oltre 5500 rifiuti in 100 metri.  Dei rifiuti rinvenuti, il 67% è imputabile alla cattiva depurazione, con la presenza di ben 3716 cotton fioc e diversi altri articoli (deodoranti per wc e blister). Maglia nera anche per quella di Olivella nel comune di Santa Flavia (Pa), con 1252 rifiuti in 100 metri di spiaggia, circondata e sfregiata pesantemente anche da manufatti di cemento pericolanti. Importante segnalare anche le spiagge invase dai rifiuti provenienti dalla pesca, in particolare la spiaggia di Canovella de’ Zoppoli a Duino Aurisina, Trieste, dove ben il 65% dei rifiuti trovati sono riconducibili a reti di mitili e la spiaggia sul Mar Piccolo a Taranto, nei pressi del Parco Cimino (con il 44% dei rifiuti riconducibile alla pesca).

“Circa il 70% dei rifiuti che entra a contatto con l’ecosistema marino affonda e solo il 15% resta in superficie” afferma Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente. Per questo “è urgente mettere in programma azioni per la progressiva riduzione dei rifiuti in mare e nella fascia costiera, come previsto dalla direttiva Europea Marine Strategy, che in Italia non sono ancora state messe in campo”.

Dall’Islanda la bottiglia fatta di alghe che si auto-elimina

Il futuro è bioplastico

Da decenni gli ambientalisti di tutto il mondo puntano il dito contro la plastica: cosa poco, dura tanto, e la si utilizza praticamente per qualsiasi cosa. Ma l’inquinamento causato dai materiali plastici ha raggiunto livelli altissimi, coinvolgendo il suolo, i fiumi, i mari e gli oceani. Basti pensare che proprio questo materiale è il responsabile della morte di un milione e mezzo di animali ogni anno. Per far fronte a questo dramma si sono puntate tantissime energie sul riciclo, ma non solo: la nuova frontiera è infatti rappresentata dalle bioplastiche, ovvero prodotte da materie prime rinnovabili o, ancora meglio, totalmente biodegradabili. A questo proposito abbiamo già parlato delle ricerche della casa automobilistica Ford per creare la plastica per i propri veicoli a partire dagli scarti dei pomodori; oppure della buona azione della Coca Cola, con l’immissione sul mercato delle sue biobottiglie; o ancora, della futuristica bottiglia Ooho, realizzata da tre designer spagnoli.

Solo alghe e acqua

Sul solco di questi sviluppi nel campo della bioplastica si immette il progetto di Ari Jònsson, uno studente d’arte di Reykjavik: una bottiglia totalmente ecologica realizzata unicamente da alghe e da acqua. Più nel dettaglio, il contenitore ecosostenibile assemblato dallo studente islandese è fatto a base di agar-agar, ovvero una polvere che si ottiene attraverso la lavorazione dell’alga rossa. Jònsson ha miscelato la polvere con l’acqua, così da ottenere una consistenza gelatinosa, la quale, però, era fin troppo cedevole per poter essere lavorabile. La soluzione è stata quella di riscaldare la sostanza, così da renderla elastica e resistente. Una volta dato a questo impasto la forma di una bottiglia attraverso degli stampi, è sufficiente piazzare il tutto nel congelatore: ne esce così una struttura solida e del tutto simile ad una normalissima bottiglia.

Una bottiglia biodegradabile e commestibile

Ma la marcia in più di questo contenitore fatto di alghe è la sua altissima biodegradabilità: fino a quando la bottiglia resta piena d’acqua, infatti, il materiale rimane solido e resistente. Non appena essa verrà svuotata, invece, il mancato contatto con l’acqua innesca una veloce decomposizione: la bottiglia diminuisce di volume, si piega su se stessa e scompare senza lasciare traccia. E non è tutto qui, poiché questo materiale è anche pienamente commestibile: insomma, se non vogliamo aspettare che la bottiglia si disintegri, possiamo mangiarla, sempre se riusciamo a sopportare il pungente sapore delle alghe.

In Europa scoppia l’amore per le auto elettriche e per le ibride

La rivoluzione elettrica è pronta

E dire che le prime automobili, nell’Ottocento, erano proprio elettriche: una tecnologia pionieristica e di nicchia, la quale fu presto spodestata, nel 1880, dal perfezionamento del motore a combustione interna a quattro tempi. Da allora, per molti decenni, le auto elettriche restarono un lontano ricordo, una curiosità storica per nulla performante. Oggi, però, con il progresso tecnologico da una parte, e il drammatico livello di inquinamento atmosferico dall’altra, le automobili elettriche sono finalmente tornate al centro dell’attenzione. Dopo anni di tentativi e di timide reazioni del mercato, ora si può finalmente dire che i tempi sono maturi: le automobili elettriche sono pronte per sostituire tutti i nostri inquinanti mezzi di trasporto. Ma noi siamo pronti a questo cambiamento e a dire addio al petrolio?

Lo studio dell’Acea

Stando ai dati pubblicati dall’Acea, ovvero dall’associazione europea dei produttori di automobili, il mercato delle auto ecologiche sta decisamente aumentando: auto elettriche e ibride dunque, ma anche automobili a metano e gpl. Nel complesso, le immatricolazioni di veicoli a carburante alternativo nell’Unione Europea nel primo trimestre del 2016 sono state in totale 154.795, con un buon 6,4% in più rispetto all’anno scorso. A farla da padrone sul mercato sono soprattutto le auto elettriche, le quali mostrano un aumentano a doppia cifra (con un più 33,9%), seguite a ruota dalle ibride plug-in (più 23,5%).

Sempre di più optano per l’ibrida

Ma il nuovo vero amore degli europei sembra essere, più dell’automobile elettrica, quella ibrida: un’automobile, dunque, in grado di coprire molti chilometri a zero emissioni, con la possibilità, in caso di bisogno, di attivare un secondo motore a combustione, ovvero classico. Laddove dunque le automobili elettriche immatricolate nel primo trimestre del 2016 sono state 35.730 rispetto alle 28.181 dell’anno precedente, guardando alle ibride si scopre che nei primi tre mesi di quest’anno hanno raggiunto l’encomiabile cifra di 69.530 nuove immatricolazioni. A fronte di questi aumenti verticali, fa notizia il netto calo delle vendite di auto gpl e metano, le quali sono scese del 22,4%.

Benissimo le automobili eco in Spagna, in Italia un passo indietro

A trainare il mercato delle automobili ecologiche in Europa è soprattutto la Spagna, dove nel primo trimestre del 2016 sono state immatricolati il 51,9% di veicoli eco in più rispetto a quanto successo nel 2015. Dietro al paese iberico, per quantità di automobili a carburante alternativo immatricolate, si piazzano Francia, Regno Unito e Germania. In forte controtendenza si posiziona invece il nostro paese: l’Italia tra gennaio e marzo 2016 ha infatti perso il 13,9% delle immatricolazioni di questo tipo di veicoli rispetto all’anno scorso.

Deforestazione: ogni minuto rasi al suolo 50 campi di calcio di foreste

Non dimentichiamo le foreste

Ora che la lotta al cambiamento climatico sembra finalmente aver trovato un po’ di spazio nell’agenda dei leader mondiali, dobbiamo star ben attenti a non dimenticare quali sono i veri strumenti che possono aiutarci nel salvaguardare il nostro pianeta. Come ha infatti dichiarato Diego Florian, direttore di Fsc Italia, non dobbiamo scordarci «il ruolo fondamentale della gestione responsabile del patrimonio forestale nella tutela del Pianeta». Fsc è un’organizzazione internazionale non governativa, indipendente e senza scopo di lucro, nata nel 1993 proprio per promuovere la tutela delle foreste.

Non solo inquinamento

Durante la celebrazione dell’Earth Day 2016 Diego Florian ha voluto ricordare che il nostro pianeta perde ogni minuto una superficie di foresta pari a 50 campi di calcio: una mutilazione continua e drammatica, che con il suo ritmo forsennato sta mettendo in ginocchio i polmoni del nostro globo.

«Quando si parla di cambiamenti climatici, l’attenzione è quasi sempre focalizzata sull’inquinamento e sulla necessità di diminuire le emissioni di anidride carbonica. Non dobbiamo mai dimenticare tuttavia quanto potrebbe fare la differenza una gestione responsabile del patrimonio forestale e il contrasto alla deforestazione».

Come si può infatti pensare di limitare i danni causati dall’inquinamento negando alla nostra Terra la possibilità di immagazzinare il carbonio? Eppure, attraverso la deforestazione massiccia, è proprio questo quello che stiamo facendo: stiamo limitando la capacità delle foreste di mitigare i cambiamenti climatici.

Forest Stewardship Council

Per nuove piantagioni di olio di palma, di cacao, di caffè oppure di soia, o per la creazione di nuovi pascoli, per la produzione della carta, o ancora per la costruzione di enormi dighe. E questi sono solo alcuni dei motivi della deforestazione: Fsc (Forest Stewardship Council) è nato per arginare questo fenomeno, cercando di promuovere una gestione responsabile delle foreste, mirando tra le altre cose a portare vantaggi reali alle popolazioni locali, in ottica di un’economia socialmente utile e sostenibile. Dopo più di vent’anni di attività, quello di Fsc è diventato il sistema di certificazione forestale più accreditato al mondo: gli ettari di foresta certificati da Fsc sono infatti più 180 milioni.

Il mobile italiano è il più sostenibile d’Europa

Primato in Europa

Non può che farci un gran piacere il fatto che l’industria italiana del mobile sia la migliore in Europa per quanto riguarda le sue performance ambientali: siamo meglio di qualsiasi altro stato del nostro continente per quanto riguarda i consumi energetici e le emissioni climalteranti. Questo primato è stato riconosciuto e messo nero su bianco da Fondazione Symbola, la quale ha presentato a Roma il dossier ‘Il made in Italy abita il futuro – Il Legno Arredo verso l’economia circolare’, nel quale viene spiegato in che modo il legno per arredo italiano risulti essere il più sostenibile in tutta l’Unione Europea.

Meno petrolio, meno emissioni

Per la produzione dei nostri mobili, dunque, sprechiamo meno energia e produciamo meno anidride carbonica degli altri paesi europei. Nel dettaglio, per ogni milione di euro prodotto in questo settore, utilizziamo 30 tonnellate equivalenti di petrolio, a fronte della media europea di ben 68 tonnellate di petrolio. Nello specifico, dietro di noi si piazzano il Regno Unito, con 39 tonnellate di petrolio, la Francia (56), la Germania (63) e la Spagna (101). I numeri italiani sono da primato ambientale anche per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica: per ogni milione di euro prodotto, i mobilifici italiani producono 39 tonnellate di Co2, quando invece quelli tedeschi nei emettono 50, quelli francesi 52, quelli britannici 93 e ben 124 quelli spagnoli. L’industria del mobile italiani può invece migliorare per quanto riguarda la riduzione dei rifiuti, attestandosi su 15,5 tonnellate di rifiuti per ogni milione di euro prodotto: fanno meglio di noi le imprese spagnole (7 tonnellate), quelle francesi (10) e quelle britanniche (13).

Il mobile italiano verso la green economy

Queste cifre dimostrano in pieno come il settore del mobile made in Italy abbia ormai imboccato la via di un’economia sostenibile, quella del ‘produci, consuma e recupera’, lasciandosi lentamente alle spalle il vecchio business del ‘produci, consuma e butta’. Questo dato è confermato anche dai maggiori investimenti delle aziende nelle tecnologie in grado di assicurare un concreto risparmio energetico e un minor impatto ambientale: il 31% delle imprese italiane del settore negli ultimi 8 anni ha infatti investito importanti fondi per migliorare la propria sostenibilità ambientale. Inoltre, è da sottolineare un altro primato in Europa dell’industria italiana del mobile: in nessun altro paese del continente si è infatti investito così tanto in Ricerca e Sviluppo. A livello mondiale, in questo senso, siamo secondi solamente alla Cina. Come ha voluto sottolineare il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci, «l’industria italiana del Legno Arredo ha iniziato a cogliere, e mi auguro sia in grado di farlo sempre più, le opportunità della green economy e dell’economia circolare».

Un centesimo per ogni lattina riciclata: l’idea di Monselice Evergreen

L’iniziativa a Monselice

Riciclare conviene, e questo lo abbiamo capito ormai da molto tempo. Ma quanto sarebbe bello se, ogni volta che buttiamo un rifiuto nel cestino giusto, avessimo un fulmineo ritorno economico, direttamente nel nostro portafoglio? Ebbene, in Veneto hanno pensato anche a questo. Da sabato 9 aprile, nella pittoresca cittadina padovana di Monselice, ogni bottiglia di plastica o lattina inserite nel contenitore della raccolta differenziata si tradurranno istantaneamente in un centesimo per il virtuoso riciclatore.

L’Ecocompattatore

Il progetto ‘Monselice Evergreen‘ ruota interamente attorno ad un riciclatore prodotto dall’azienda veneta Eurven, la quale fa del ciclo virtuoso del riciclaggio la sua filosofia principale. Il macchinario in questione è predisposto per riconoscere la tipologia del rifiuto, per differenziarlo e ridurre il suo volume iniziale fino al 90%. E già all’interno del riciclatore i rifiuti vengono pressati e trasformati in ecoballe, pronte per essere inserite comodamente nella filiera del riciclo. Ma il punto forte di questo progetto è la ricompensa prevista per i cittadini che sceglieranno questa gestione dei rifiuti: per ogni rifiuto correttamente inserito i cittadini vedranno accreditato sul proprio smartphone un centesimo.

L’app per smartphone

Di certo nessun cittadino di Monselice diventerà ricco grazie alle lattine e alle bottiglie immesse nel riciclatore della Eurven, ma tutti quanti avranno un incentivo in più per fare la raccolta differenziata. Il tutto è possibile grazie ad un’apposita app realizzata da una startup padovana: una volta installata sul proprio smartphone, ad ogni immissione di lattine o bottiglie l’ecocompattatore riconoscerà il proprietario del cellulare e caricherà un centesimo sul suo conto online. Questi soldi virtuali, così accumulati, potranno essere spesi concretamente presso le attività commerciali convenzionate. E se non bastasse un centesimo per ogni rifiuto, il progetto ‘Monselice Evergreen’ ha pensato anche a dei buoni sconto: sarà lo stesso cittadino, allo schermo touch screen dell’ecocompattatore, a poter scegliere tra 1 centesimo per rifiuto o un coupon. Anche questi ultimi possono essere utilizzati nei luoghi più svariati: dal ristorante al supermercato, dal centro benessere alla farmacia.

Spreco alimentare, come combatterlo a colpi di app

Per decenni abbiamo buttato tonnellate di cibo. In realtà, continuiamo a farlo, come ci hanno ricordato recentemente i numeri registrati dal report Waste Watcher 2015, che parlano di uno spreco a livello mondiale di 1.000 miliardi di dollari di cibo all’anno e di 8,4 solo per l’Italia, corrispondente a quasi 7 euro a famiglia buttati settimanalmente. Eppure qualcosa si muove. A livello nazionale e politico, con la recente approvazione della legge contro gli sprechi alimentari, ma soprattutto grazie alle iniziative private ed imprenditoriali.
Se lo spreco alimentare è frutto del benessere e del progresso, è proprio con le armi che il progresso ci fornisce che va combattuto. Almeno così pare se guardiamo a start-up, piattaforme web e soprattutto applicazioni mobile sviluppate negli ultimi anni con l’obiettivo di incentivare il consumo sostenibile.

LastMinuteSottoCasa, l’app torinese che sbarca in Europa

Reduce da un importante traguardo raggiunto la scorsa settimana è LastMinuteSottoCasa, un’app e piattaforma web che permette ai negozianti di mettere in vendita, a prezzo fortemente scontato, il cibo che si avvicina alla data di scadenza e a chi abita nei pressi del negozio di acquistare prodotti alimentari ancora freschi. Grazie alla partnership siglata con Day – Gruppo Up, azienda operativa nel mercato italiano dei buoni pasto, la startup nata presso l’Incubatore I3P del Politecnico di Torino potrà allargare il suo servizio ai 500mila utilizzatori giornalieri dei ticket Day, con la possibilità di arrivare ai 26 milioni di clienti del gruppo Up presenti in 18 Paesi. L’app nostrana, con 50mila utenti registrati e 300 esercizi commerciali affiliati, si prepara quindi a sbarcare oltre confine, a cominciare da Spagna e Portogallo. Grazie forse anche ai risultati ottenuti finora: 2,5 tonnellate di cibo ‘salvate’ in un anno mezzo, di cui una tonnellata nella sola Torino.

Non sprecare e risparmiare

Ma LastMinuteSottoCasa non è l’unica iniziativa contro gli sprechi alimentari. Simile negli intenti è
Myfoody, un’app nata da poco che permette di sapere in quali negozi ci sono cibi ancora buoni ma in scadenza o con difetti estetici nel packaging che altrimenti andrebbero sprecati. I prodotti sono prenotabili da mobile e una volta ricevuto un codice sconto, che può andare dal 10 al 50% è possibile passare in negozio a ritirarli. Più casalinga è l’idea della start up bolognese scambiacibo.it, che propone agli utenti di scambiarsi prodotti in scadenza che non verranno utilizzati.

Le app solidali

Salvare, recuperare e ridistribuire il cibo che avanza ai grandi eventi di gala, matrimoni, convegni, cerimonie è invece l’idea di Equoevento, nata da quattro trentenni romani, architetti, avvocati e web designer. Il cibo viene indirizzato a case famiglia ed enti di solidarietà.

A sfondo puramente solidale è anche Ifoodshare, nata a Caltagirone nel 2013 e liberamente ispirata dall’esperienza tedesca di Foodsharing.de, che prevede la distribuzione di cibo in eccedenza a persone e famiglie in difficoltà da parte di supermercati, negozi, panificatori, agricoltori. Stesso meccanismo per Bring the food, che raccoglie le donazioni di prodotti in eccedenza per enti caritatevoli e persone in difficoltà. Basta scaricare l’app, inserire le caratteristiche del cibo e la zona in cui si trova per ricevere le prime richieste.

Prevenire è meglio che curare

Infine c’è UBO, un’app che punta invece alla conoscenza e alla corretta informazione. Lanciata all’interno di un progetto della regione Valle d’Aosta e Piemonte, con la supervisione di esperti dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte e Liguria, l’applicazione cataloga 500 alimenti suddivisi per dieci categorie alimentari e indica i modi per conservarli al meglio, anche oltre la data di scadenza. Una sezione propone anche ricette antispreco targate slowfood, da preparare con gli avanzi

Borracce riutilizzabili regalate agli studenti: la Bicocca elimina la plastica

Plastica, ovvero tre volte petrolio

Com’è la postazione di studio tipica di uno studente universitario? Semplice: il tavolo di un’aula studio collettiva, un computer, un paio di libri, qualche evidenziatore e l’immancabile bottiglietta d’acqua. Certo, negli ultimi anni sempre più studenti hanno recepito l’alto inquinamento dovuto alle bottiglie di plastica, e proprio per questo si sono dotati di contenitori alternativi, soprattutto borracce da riempire a casa prima di recarsi in università. Ma si parla di una fetta di studenti minoritaria: nella maggior parte dei casi infatti l’acqua in università si compra ai distributori automatici, con migliaia di bottigliette di plastica vendute tutti i giorni. È noto che le bottiglie di plastica sono tra le fonti di inquinamento più insensate: esse richiedono infatti petrolio sia per essere prodotte, che per essere trasportate e dunque eliminate o riciclate. E tutto questo nella maggior parte dei casi è del tutto inutile, perché molto spesso esiste un’alternativa sostenibile all’acquisto di una bottiglietta di acqua in plastica.

Borracce riutilizzabili in regalo

Ed è proprio per dare un’alternativa solida ai propri studenti che l’Università di Milano-Bicocca ha deciso, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, di distribuire delle borracce riutilizzabili Mynox. I destinatari sono stati sia gli studenti che il personale dell’ateneo, per ridurre al massimo il consumo di plastica e l’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Di certo, però, donare una borraccia non basta: bisogna anche garantire l’accesso all’acqua potabile. Proprio per questo il campus della Bicocca si sta dotando di erogatori di acqua dotati di filtri, sistemi de-batterizzanti e perfino gasatori. Il tutto assolutamente gratuito per il personale universitario e per gli studenti, i quali potranno così accedere ad un acqua microbiologicamente pura e con caratteristiche qualitative superiori rispetto agli standard minimi previsti dalla normativa corrente. L’obiettivo di eliminare lo spreco di plastica è dunque a portata di mano.

Il risparmio di emissioni

E i risultati di questa svolta sostenibile della Bicocca sono già concreti. Il centro di ricerca POLARIS dell’ateneo ha infatti monitorato l’utilizzo dei sei erogatori d’acqua potabile installati nel gennaio del 2015: ebbene, in 10 mesi sono stati prelevati circa 95 mila litri d’acqua, i quali corrisponderebbero a circa 190 mila bottigliette di plastica. Sarebbero dunque stata risparmiata l’emissione di quasi 7 mila chilogrammi di anidride carbonica, l’equivalente di 8 voli di andata e ritorno da Milano a New York. E questo, come abbiamo visto, è solo l’inizio.
http://www.askanews.it/regioni/lombardia/sostenibilita-bicocca-distribuisce-borracce-riutilizzabili_711767276.htm

La tua squadra del cuore gioca male? Non è colpa del mister, ma dell’inquinamento

Campionati condizionati dalla qualità dell’aria

Se c’è una cosa che in Italia può smuovere il maggior numero di coscienze verso un obiettivo, quello è il calcio, nel bene e nel male. E se le seguitissime partite della nostra serie A fossero fatalmente condizionate dall’inquinamento dell’aria? Questa ipotesi è stata sondata da uno studio condotto dall’Institute for the Study of Labour di Bonn. I ricercatori tedeschi hanno infatti preso in esame tutte le partite che le squadre della Bundesliga (ovvero la classe regina del calcio in Germania) hanno disputato tra il 1999 e il 2011. Ebbene, i risultati di questa analisi, che ha incrociato i dati tecnici delle sfide calcistiche con quelli della qualità dell’aria, hanno dimostrato che esiste una correlazione tra gioco e inquinamento atmosferico. L’intero studio verrà presentato il 21 marzo a Brighton, durante il meeting annuale della Royal Economic Society.

Tifosi dell’ambiente cercasi

Insomma, davanti a questo studio non sappiamo se sorridere o metterci le mani nei capelli. Se infatti tutti i tifosi italiani che la domenica affollano gli stadi si convincessero che il proprio campione gioca male per colpa dell’inquinamento atmosferico, la tutela dell’ambiente salterebbe d’un colpo al primo posto delle preoccupazioni nazionali. D’altra parte, se la tesi dello studio tedesco fosse veramente corretta ed innegabile, questa non sarebbe che l’ennesima prova dello stato gravissimo in cui si trovano tutte le maggiori città del mondo, le quali soffocano nella loro stessa aria.

Lo studio

In tutto il team tedesco ha analizzato 3mila partite, giocate in 32 stadi diversi da 29 squadre. Nello studio sono quindi finiti 1.771 calciatori, ognuno dei quali, una volta sceso in campo, è stato influenzato dall’inquinamento atmosferico. Gli studiosi hanno infatti concluso che la bassa qualità dell’aria impatta concretamente sulle prestazioni degli atleti: se la concentrazione di PM10 nell’aria si attesta tra i 20 ed i 50 microgrammi per ogni metro cubo, la produttività dei calciatori sarà intaccata moderatamente; se l’inquinamento supera invece i 50 microgrammi per metro cubo, la performance di ogni singolo atleta può diminuire fino al 16%.

Meno passaggi corti

Ma quale dato hanno utilizzato questi ricercatori per valutare la resa delle squadre tedesche? Ebbene, essi hanno contato il numero di passaggi, scoprendo che «un 1% di aumento del livello di polveri sottili riduce il numero di passaggi dello 0,02%». Insomma, aldilà dello schema, della preparazione atletica, del morale, delle scelte tecniche o della sfortuna, il fattore inquinamento non è assolutamente da sottovalutare. Come infatti hanno spiegato gli studiosi, «sebbene il numero di passaggi non sia di per sé una misura della performance fisica, lo abbiamo usato come indicatore di produttività, dal momento che è collegato alla velocità del gioco e soprattutto è molto importante per il successo di una squadra per via del possesso di palla e delle occasioni da gol create». Più l’aria si presenta inquinata, dunque, più si fanno frequenti i passaggi lunghi, a danno di quelli corti e del gioco veloce.

Dopo 50 anni torna la caccia al lupo: secondo Lav, anche ai cani

Caccia al lupo alle porte

Negli ultimi mesi si è parlato sempre di più di un possibile reinserimento del lupo tra le specie che possono essere cacciate e uccise in Italia. A questo proposito, il ministero dell’Ambiente e la Conferenza delle Regioni si stanno preparando per varare un nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo, proprio per rispondere alle lamentele di chi nel lupo vede soprattutto una minaccia. Come però ha denunciato ufficialmente la Lega Anti Vivisezione (LAV), il suddetto piano «dopo ben 45 anni, consentirà gli abbattimenti di lupi e ibridi e renderà addirittura possibile dare la caccia e uccidere i cani vaganti, contro il divieto fissato per legge nel 1991». Insomma, secondo l’associazione animalista non solo il ministero starebbe pensando di consentire la caccia al lupo, ma anche di puntare il fucile nella direzione dei cani randagi. Il Piano che si sta elaborando, dunque, viene visto da LAV come una ‘soluzione finale’ non solo per i lupi, ma anche per i cani.

Le domande di LAV e le risposte del ministero

LAV dichiara infatti che il nuovo Piano andrebbe a modificare una precedente norma riguardante il randagismo, la legge 281/91: con questa modifica si vorrebbe andare a parificare gli ibridi cane-lupo alle nutrie, le quali già oggi possono essere sterminate nelle aree rurali ai sensi dell’articolo 19 della legge 157/92. Con queste accuse alla mano, LAV ha voluto domandare al ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini «se sottoscriveranno l’abbattimento di cani, ibridi e lupi e se intendano procedere alla convocazione delle associazioni interessate, come previsto dal Decreto ministeriale». LAV ha inoltre esteso la domanda anche al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, il cui ministero sarebbe stato convocato per dare un proprio parere riguardo al piano contro i randagi. La risposta del ministero dell’Ambiente non si è fatta attendere: stando alla comunicazione ufficiale, «in Italia non è prevista alcuna quota di abbattimenti autorizzati a priori» e «in nessun punto nel Piano d’azione si fa riferimento all’abbattimento di cani-lupo e cani randagi, né all’interno delle aree protette né al di fuori».

Lupo, specie prioritaria

Ma torniamo alla faccenda dei lupi: di fatto, dopo tanti milioni spesi per far ritornare i lupi sulle nostre montagne, quasi del tutto estinti nel 1971, adesso il ministero dell’Ambiente sembra aver deciso di spendere qualche altro soldo per frenarne la crescita. In tutto si stima che sugli Appennini ci siano tra i 1.070 ed i 2.452 lupi, più un centinaio sulle Alpi. A mettere il bastone tra le ruote alla volontà del ministero e di tanti cacciatori c’è però la direttiva Cee Habitat 92/43, la quale proibisce l’uccisione, la cattura, il trasporto e la commercializzazione del lupo, il quale viene definito come specie prioritaria. Il ministero è però già pronto a chiedere una deroga, che del resto è già stata presentata e accettata per stati come Svezia, Francia e Spagna. Tutto questo, almeno in superficie, sarebbe motivato dalle minacce dei lupi agli animali da allevamento, denunce presentate a più riprese anche dalla Coldiretti. Ma gli animalisti non ci stanno: come infatti ricorda Massimo Vitturi della LAV, «ci sono studi in tutta Europa che dimostrano come gli abbattimenti non fanno diminuire le predazioni. E l’apertura della caccia non arresta il bracconaggio, anzi. Se il sistema avvalla l’uccisione del lupo, il bracconiere si sentirà un benefattore».