Indagine Legambiente: spiagge italiane sommerse dai rifiuti

Spagge italiane inquinate

L’estate è alle porte ma le spiagge italiane mostrano il consueto lato oscuro. Dall’ indagine “Beach Litter” realizzata e curata per il terzo anno da Legambiente è emerso un dato allarmante: ogni 100 metri di spiaggia si trovano in media 714 rifiuti. Il monitoraggio è stato svolto nel mese di Maggio su 47 spiagge italiane, un’area di 106.245 mq, dove sono stati trovati 33.540 rifiuti spiaggiati. Anche quest’anno regina indiscussa rimane la plastica: il 76,3% degli oggetti trovati è infatti di plastica, seguita da mozziconi di sigarette (7,9%), rifiuti di carta (5,5%), metallo (3,6%), vetro/ceramica (3,4%), legno (1,3%), rifiuti tessili (1,2%) e gomma (0,8%).

Pezzi di plastica, cotton-fioc e cicche di sigarette

A guidare, invece, la top ten dei rifiuti spiaggiati più trovati sono tre piccoli ma pericolosi oggetti: al primo posto ci sono i pezzi di plastica e polistirolo (22,3%), di dimensioni inferiori ai 50 cm, che costituiscono quasi un quarto dei rifiuti trovati. Secondo posto per i cotton fioc (13,2%) per un totale di 4412 pezzi, diretta conseguenza della scorretta abitudine di ‘smaltire’ questi rifiuti gettandoli nel wc e dell’inefficacia degli impianti di depurazione.
Terzo posto in classifica per i mozziconi di sigaretta (7,9%): in particolare l’indagine di Legambiente ne ha contati 2642, una quantità pari al contenuto di 132 di pacchetti, il 3% in più rispetto all’indagine del 2015. Seguono nella top ten: tappi e coperchi (plastica e metallo) 7,8%, bottiglie di plastica per bevande (7,5%), reti da pesca e acquacoltura (3,7%), stoviglie usa e getta di plastica (3,5%), materiale da costruzione (2,3%), bottiglie di vetro e pezzi (1,9%) e bottiglie e contenitori di detergenti (1,8%). Rifiuti che fanno male all’ambiente, alla fauna, all’economia e al turismo.

Maglia nera alla  spiaggia di Coccia di Morto a Fiumicino

L’indagine “Beach litter”, che rientra nell’ambito della campagna “Spiagge e Fondali puliti – Clean-up the Med 2016” realizzata anche grazie al contributo di Cial, Novamont e Virosac, è stata eseguita dai volontari di Legambiente nel mese di maggio 2016. Le situazioni più critiche sono state rilevate sulla spiaggia di Coccia di Morto a Fiumicino, in prossimità della foce del Tevere, dove si accumulano i rifiuti provenienti dal fiume. Qui Legambiente ha trovato il più alto numero di rifiuti: oltre 5500 rifiuti in 100 metri.  Dei rifiuti rinvenuti, il 67% è imputabile alla cattiva depurazione, con la presenza di ben 3716 cotton fioc e diversi altri articoli (deodoranti per wc e blister). Maglia nera anche per quella di Olivella nel comune di Santa Flavia (Pa), con 1252 rifiuti in 100 metri di spiaggia, circondata e sfregiata pesantemente anche da manufatti di cemento pericolanti. Importante segnalare anche le spiagge invase dai rifiuti provenienti dalla pesca, in particolare la spiaggia di Canovella de’ Zoppoli a Duino Aurisina, Trieste, dove ben il 65% dei rifiuti trovati sono riconducibili a reti di mitili e la spiaggia sul Mar Piccolo a Taranto, nei pressi del Parco Cimino (con il 44% dei rifiuti riconducibile alla pesca).

“Circa il 70% dei rifiuti che entra a contatto con l’ecosistema marino affonda e solo il 15% resta in superficie” afferma Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente. Per questo “è urgente mettere in programma azioni per la progressiva riduzione dei rifiuti in mare e nella fascia costiera, come previsto dalla direttiva Europea Marine Strategy, che in Italia non sono ancora state messe in campo”.

Dall’Islanda la bottiglia fatta di alghe che si auto-elimina

Il futuro è bioplastico

Da decenni gli ambientalisti di tutto il mondo puntano il dito contro la plastica: cosa poco, dura tanto, e la si utilizza praticamente per qualsiasi cosa. Ma l’inquinamento causato dai materiali plastici ha raggiunto livelli altissimi, coinvolgendo il suolo, i fiumi, i mari e gli oceani. Basti pensare che proprio questo materiale è il responsabile della morte di un milione e mezzo di animali ogni anno. Per far fronte a questo dramma si sono puntate tantissime energie sul riciclo, ma non solo: la nuova frontiera è infatti rappresentata dalle bioplastiche, ovvero prodotte da materie prime rinnovabili o, ancora meglio, totalmente biodegradabili. A questo proposito abbiamo già parlato delle ricerche della casa automobilistica Ford per creare la plastica per i propri veicoli a partire dagli scarti dei pomodori; oppure della buona azione della Coca Cola, con l’immissione sul mercato delle sue biobottiglie; o ancora, della futuristica bottiglia Ooho, realizzata da tre designer spagnoli.

Solo alghe e acqua

Sul solco di questi sviluppi nel campo della bioplastica si immette il progetto di Ari Jònsson, uno studente d’arte di Reykjavik: una bottiglia totalmente ecologica realizzata unicamente da alghe e da acqua. Più nel dettaglio, il contenitore ecosostenibile assemblato dallo studente islandese è fatto a base di agar-agar, ovvero una polvere che si ottiene attraverso la lavorazione dell’alga rossa. Jònsson ha miscelato la polvere con l’acqua, così da ottenere una consistenza gelatinosa, la quale, però, era fin troppo cedevole per poter essere lavorabile. La soluzione è stata quella di riscaldare la sostanza, così da renderla elastica e resistente. Una volta dato a questo impasto la forma di una bottiglia attraverso degli stampi, è sufficiente piazzare il tutto nel congelatore: ne esce così una struttura solida e del tutto simile ad una normalissima bottiglia.

Una bottiglia biodegradabile e commestibile

Ma la marcia in più di questo contenitore fatto di alghe è la sua altissima biodegradabilità: fino a quando la bottiglia resta piena d’acqua, infatti, il materiale rimane solido e resistente. Non appena essa verrà svuotata, invece, il mancato contatto con l’acqua innesca una veloce decomposizione: la bottiglia diminuisce di volume, si piega su se stessa e scompare senza lasciare traccia. E non è tutto qui, poiché questo materiale è anche pienamente commestibile: insomma, se non vogliamo aspettare che la bottiglia si disintegri, possiamo mangiarla, sempre se riusciamo a sopportare il pungente sapore delle alghe.

In Europa scoppia l’amore per le auto elettriche e per le ibride

La rivoluzione elettrica è pronta

E dire che le prime automobili, nell’Ottocento, erano proprio elettriche: una tecnologia pionieristica e di nicchia, la quale fu presto spodestata, nel 1880, dal perfezionamento del motore a combustione interna a quattro tempi. Da allora, per molti decenni, le auto elettriche restarono un lontano ricordo, una curiosità storica per nulla performante. Oggi, però, con il progresso tecnologico da una parte, e il drammatico livello di inquinamento atmosferico dall’altra, le automobili elettriche sono finalmente tornate al centro dell’attenzione. Dopo anni di tentativi e di timide reazioni del mercato, ora si può finalmente dire che i tempi sono maturi: le automobili elettriche sono pronte per sostituire tutti i nostri inquinanti mezzi di trasporto. Ma noi siamo pronti a questo cambiamento e a dire addio al petrolio?

Lo studio dell’Acea

Stando ai dati pubblicati dall’Acea, ovvero dall’associazione europea dei produttori di automobili, il mercato delle auto ecologiche sta decisamente aumentando: auto elettriche e ibride dunque, ma anche automobili a metano e gpl. Nel complesso, le immatricolazioni di veicoli a carburante alternativo nell’Unione Europea nel primo trimestre del 2016 sono state in totale 154.795, con un buon 6,4% in più rispetto all’anno scorso. A farla da padrone sul mercato sono soprattutto le auto elettriche, le quali mostrano un aumentano a doppia cifra (con un più 33,9%), seguite a ruota dalle ibride plug-in (più 23,5%).

Sempre di più optano per l’ibrida

Ma il nuovo vero amore degli europei sembra essere, più dell’automobile elettrica, quella ibrida: un’automobile, dunque, in grado di coprire molti chilometri a zero emissioni, con la possibilità, in caso di bisogno, di attivare un secondo motore a combustione, ovvero classico. Laddove dunque le automobili elettriche immatricolate nel primo trimestre del 2016 sono state 35.730 rispetto alle 28.181 dell’anno precedente, guardando alle ibride si scopre che nei primi tre mesi di quest’anno hanno raggiunto l’encomiabile cifra di 69.530 nuove immatricolazioni. A fronte di questi aumenti verticali, fa notizia il netto calo delle vendite di auto gpl e metano, le quali sono scese del 22,4%.

Benissimo le automobili eco in Spagna, in Italia un passo indietro

A trainare il mercato delle automobili ecologiche in Europa è soprattutto la Spagna, dove nel primo trimestre del 2016 sono state immatricolati il 51,9% di veicoli eco in più rispetto a quanto successo nel 2015. Dietro al paese iberico, per quantità di automobili a carburante alternativo immatricolate, si piazzano Francia, Regno Unito e Germania. In forte controtendenza si posiziona invece il nostro paese: l’Italia tra gennaio e marzo 2016 ha infatti perso il 13,9% delle immatricolazioni di questo tipo di veicoli rispetto all’anno scorso.

Deforestazione: ogni minuto rasi al suolo 50 campi di calcio di foreste

Non dimentichiamo le foreste

Ora che la lotta al cambiamento climatico sembra finalmente aver trovato un po’ di spazio nell’agenda dei leader mondiali, dobbiamo star ben attenti a non dimenticare quali sono i veri strumenti che possono aiutarci nel salvaguardare il nostro pianeta. Come ha infatti dichiarato Diego Florian, direttore di Fsc Italia, non dobbiamo scordarci «il ruolo fondamentale della gestione responsabile del patrimonio forestale nella tutela del Pianeta». Fsc è un’organizzazione internazionale non governativa, indipendente e senza scopo di lucro, nata nel 1993 proprio per promuovere la tutela delle foreste.

Non solo inquinamento

Durante la celebrazione dell’Earth Day 2016 Diego Florian ha voluto ricordare che il nostro pianeta perde ogni minuto una superficie di foresta pari a 50 campi di calcio: una mutilazione continua e drammatica, che con il suo ritmo forsennato sta mettendo in ginocchio i polmoni del nostro globo.

«Quando si parla di cambiamenti climatici, l’attenzione è quasi sempre focalizzata sull’inquinamento e sulla necessità di diminuire le emissioni di anidride carbonica. Non dobbiamo mai dimenticare tuttavia quanto potrebbe fare la differenza una gestione responsabile del patrimonio forestale e il contrasto alla deforestazione».

Come si può infatti pensare di limitare i danni causati dall’inquinamento negando alla nostra Terra la possibilità di immagazzinare il carbonio? Eppure, attraverso la deforestazione massiccia, è proprio questo quello che stiamo facendo: stiamo limitando la capacità delle foreste di mitigare i cambiamenti climatici.

Forest Stewardship Council

Per nuove piantagioni di olio di palma, di cacao, di caffè oppure di soia, o per la creazione di nuovi pascoli, per la produzione della carta, o ancora per la costruzione di enormi dighe. E questi sono solo alcuni dei motivi della deforestazione: Fsc (Forest Stewardship Council) è nato per arginare questo fenomeno, cercando di promuovere una gestione responsabile delle foreste, mirando tra le altre cose a portare vantaggi reali alle popolazioni locali, in ottica di un’economia socialmente utile e sostenibile. Dopo più di vent’anni di attività, quello di Fsc è diventato il sistema di certificazione forestale più accreditato al mondo: gli ettari di foresta certificati da Fsc sono infatti più 180 milioni.